Difficile raccontare Giancarlo, era un misto di tante cose

Sono tre anni che Giancarlo Rossetti ci ha lasciato. E’ difficile raccontarlo, perché era un misto di tante cose. Nei 31 taccuini-libretti-diari che ha lasciato, ha scritto in vari modi, dei più vari argomenti. Molti discorsi negativi e una frase è un efficace riassunto:

“Sono stanco del mondo, e lui lo è di me”

Molti dei suoi testi cercano di far vedere la bellezza della natura, nei tramonti, nel vento o in una foglia che cade, scrivendolo. Oppure racconta la vita di un bar e dei suoi personaggi.

In altri scritti Giancarlo inventa storie belle:

“C’era un tempo un uomo che raccontava storie e le faceva diventare vere…”

Una ha l’inizio citato, parla di un sogno e la fine del racconto è:

“Il sogno si ridusse come un fiore ed è ancora lì, da qualche parte nel mondo ad aspettare. Un mondo perfetto, lasciato senza luce e parole ad aspettare che un sognatore lo crei, di nuovo, dentro di sé.”

O ancora dai suoi taccuini:

“In fin dei conti, ho bisogno anch’io degli altri, per stimolo e compagnia, e per contrasto. Essere un qualcuno in grado di lasciare ricordo di se stesso negli altri dà un senso a una vita che ne ha ben poco. Quando finirò di essere, sarà con il senso di ricordi che si sono inseriti in altri, per parole e scritti.”

Un’altra storia:

“Ho assalito una torta per ucciderla, mi sono avventato su di lei con rabbia e, famelicamente, ne ho fatto scempio. Solo poi mi sono reso conto delle sue paste e pasticcini, rimasti soli vagavano senza meta, lasciando zucchero a velo su tutto il tavolo. Non mi son sentito di lasciarli soli, senza una speranza, e li ho finiti con eleganza. Nemmeno una briciola, né un po’ di crema. Solo un resto di zucchero a velo è rimasto. 

Contento, ho fatto per uscire dalla stanza del massacro, e avevo il sorriso di chi è felice del lavoro fatto, completo e pulito, come un chirurgo. 

Solo allora mi sono accorto di quel panettone maledetto, che voleva vendetta; il marito della torta ho saputo poi. Un panettone rimasto da troppi natali, duro e deciso, con tutte le cose a posto, dentro l’uvetta e i canditi in faccia, non li sopporto proprio. Mi ha teso una trappola, con il sacchetto di nylon, e mentre soffocavo leggevo le scritte che avvertono della pericolosità di metterlo in testa… come se non lo capissi già da solo!

Fortuna che sono riuscito a spingerlo nel microonde, e sono riuscito ad ammorbidirlo per bene. E’ diventato una pasta morbida, e me lo sono fatto fuori, in un paio di bocconi: non sono certo farina da far ostie io.”

(a cura di Loredana Rossetti)

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